mercoledì 15 maggio 2013

La mia intervista a Giuliano Ferrara




Roma, 14 maggio - Inconsueta svolta nella carriera artistica del poliedrico Ferrara, che dopo il rap "Tienimi da conto Monti", si consacra nell'olimpo dei trend settimanali di youtube con "Ilda Rossa di Procura". Lo abbiamo incontrato in piazza Trilussa, a Trastevere, per farci raccontare la genesi di questa nuova performance.

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Lontano dalle bizze dello showbiz, Giuliano arriva puntuale alle 9:30; insieme a lui i tre cagnolini che cucinerà a pranzo ("Sì, mi alzo presto la mattina per fare la spesa al mercato rionale" ci confida). Il suo look -è proprio il caso di dirlo- fiammante attira gli sguardi dei turisti che stentano a credere alla fortuna di poter vedere una star nazionale in un contesto quotidiano, pittoresco, ben lontano dalle atmosfere patinate dei rotocalchi. Alcuni giapponesi tirano fuori le macchine fotografiche, modalità grandangolo.

D: Ci racconti, come mai ha deciso di reinventarsi in questa figura controversa? La PM Boccassini può essere assurta a metafora del livore umano che minaccia il nostro Bel Paese?
R: *crunch* *gnam* *glom*
D: Alcuni hanno paragonato "Ilda rossa di procura" alla forza devastante e dissacrante dei Dead Kennedys, in una rilettura reazionaria. Altri addetti ai lavori l'hanno invece visto come un faux pas à la "Sandinista!", in cui il virtuosismo vocale fa a pugni con l'aggressività del nuovo look per ottenere l'attenzione dello spettatore. Lei cos'ha da dire, si aspettava di sollevare questo polverone mediatico?
R: *burp* *chomp* *chomp*
D: Sono note le sue posizioni radicali antiabortiste, che le hanno valso non poche polemiche dai puristi degli anni '70. Ha partecipato alla "Marcia per la vita" [svoltasi due giorni fa a Roma, n.d.r.]? Ha in mente un nuovo brano ispirato all'annoso problema dell'autodeterminazione della donna?
Giuliano non risponde, si limita a sorriderci e solleva il cosciotto che sta masticando. Non è pollo, è proprio un feto umano cotto al grill. Come disse lo psichiatra americano Ari Kiev, "una delle più spiccate caratteristiche del genio è il potere di alimentarsi da solo".


NOTA: questa intervista non è mai avvenuta.

lunedì 13 maggio 2013

Stupido io


stupido stupido stupido

Ad ogni “stupido” che dici, sento la rincorsa che prendi con la s, il colpo della t e quella u prodotta dall'impatto della tua mano contro la testa. La coda proparossitona pidò che si mescola al digrignare dei denti. L'autopunizione per aver fatto qualcosa con entusiasmo ricevendo ingratitudine in cambio. O percependo ingratitudine. T'immagino mentre ti disciplini nel non cedere più alla disposizione verso l'altro senza una certezza preventiva perché sei stato stupido. Non deve più accadere. Poi accade puntualmente. E t'incazzi.

Sono stato ssstupido. È la confezione vuota di medicinali lasciata accidentalmente in bella vista nel cestino della spazzatura, o la bruciatura di sigaretta che sbuca dalla manica della t-shirt. A quattordici anni ero inciampata contro la stufa a elementi e mi ero ferita vicino all'occhio, sopra lo zigomo. Il mio professore di matematica mi disse che l'autolesionismo è inconscio. Però, e non ho capito perché, tutti devono sapere. Sono stato stupido. Cattivo. E lo sono stato per colpa tua.

Le condoglianze alla festa della mamma


Il piú grande regalo che posso fare a mia madre è di non farle gli auguri. È una persona a prescindere da me e mio fratello. Cresciamo nel pensiero che una madre sia prima di tutto una madre e che i figli siano la sua priorità, la sua ragione di vita. Mia madre esiste a prescindere da me, la sua individualità non dovrebbe avere cordoni ombelicali. I figli non dovrebbero essere l'unica gioia di una madre.

Cos'è la madre se non una donna e cos'è la donna se non un essere umano? E come arrivano queste qualità presunte di sacrificio e di azzeramento di sé nella dedizione?

“Perché nella maternità adoriamo solo il sacrificio? Dov'è scesa a noi questa inumana idea della immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. È una mostruosa catena… Tutti si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici, ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili e dannose: quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla paurosa grandezza del mostro da abbattere.”
(Sibilla Aleramo, Una donna)

martedì 7 maggio 2013

Pensiero stuprando

Essere stato uno dei principali esponenti della comunicazione pubblicitaria in Italia e scoprirsi moralista in una bella mattina di maggio.

Apprendo da blitz quotidiano l'ennesimo parere assolutamente non richiesto su stupri e femminicidi del messer Toscani, lo stesso che disse che le donne italiane erano troie col culo basso e le ascelle pelose.

Che dalle nostre parti ci sia un problema nel trattamento dell'immagine (in senso lato) femminile, non è un fatto nuovo.  Secondo l'Oliviero nazionale il problema della violenza fisica degli uomini sulle donne sta nell'appariscenza femminile e in un certo tipo di comunicazione mediatica. Un tempo provocava, adesso trolla pigramente.

Il primo punto, ça va sans dire, è una troiata di proporzioni immani. Un uomo che ha dell'odio nei confronti del genere femminile, se la prenderà con quelle troie che  si mettono in minigonna e girano la notte ubriache, con quelle zoccole che si vestono e comportano da santarelline, con le puttane che escono con le amiche, con le cagne che se la tengono stretta. Si tratta di un problema verso il genere femminile, ognuna ha un motivo per essere punita perché non sa stare al suo posto. Ora, ditemi sinceramente: nel mulino che vorreste, chi dovrebbe cambiare il suo atteggiamento, gli uomini che menano, violentano, ammazzano oppure le tipe appariscenti?
Comincio a rispondere preventivamente a chi, di fronte ad una domanda del genere, è portato a rispondere "D'altronde sono anche loro che provocano/entrambe le categorie potrebbero cambiare il loro atteggiamento". Per qualcuno la facilità dei costumi è qualcosa di disdicevole, moralmente riprovevole. Non mi passa per l'anticamera del cervello di giudicare i giudizi. Ma l'esternazione (condivisa da molti uomini e donne) di Toscani poggia su una certa faziosità di ragionamento che mette sullo stesso piano una condotta passibile di critiche, ma giuridicamente lecita, e un grave reato. Un reato che spesso viene sdoganato in quanto conseguenza di qualcosa, e le colpe finiscono con l'essere in qualche modo imputate anche a chi le avrebbe causate. La protezione della persona femmina non è quindi un valore che dev'essere tutelato sempre, ma la tutela va subordinata al comportamento della donna. Sì, abbiamo qualche problema, da queste parti.

Il secondo punto è l'hype della settimana, o meglio, lo sarebbe stato se Andreotti non avesse deciso di tirare le cuoia, rubando la scena a Paolo Petruccioli, Rossella Falk, la moglie di Borsellino e le minacce di morte subite dalla presidente Laura Boldrini.
Il polverone sollevato dalla Boldrini in merito alle minacce ha avuto il grande merito di riaprire il dibattito sull'abuso del corpo femminile nella pubblicità, che tradisce l'incapacità creativa dei creativi e la Weltanschaaung relativa alla donna. Diciamolo tutti in coro: le pubblicità sono sessiste, le pubblicità fanno male alla donna, le pubblicità fanno credere agli uomini che le donne sono delle bambole di polpa che vogliono assaggiare la carne. Si proponga una soluzione, perdio.

Detto fatto: togliamo i corpi femminili dalle pubblicità.

Qui è roba grossa. Riporto il virgolettato in apertura dell'articolo dell'Unità:

«Serve porre dei limiti all'uso del corpo della donna nella comunicazione»

 Il Movimento 5 Stelle starà perdendo punti, ma la mentalità che lo pervade sta contagiando trasversalmente la società. La gente pensa nel modo sbagliato? Facciamo una legge. Okay, ma di preciso, una legge su cosa? Quali sarebbero i principi che dovrebbero limitare "l'uso del corpo della donna nella comunicazione"? Non riuscendo a darmi una risposta, l'ho chiesto ieri a mia madre, gran rompicoglioni ma donna di straordinaria saggezza e intelligenza. La sua risposta è stata:

«Per il momento togliamo le donne nude»

Doveva essere veramente stanca, per dire una cosa del genere. Cerco di farmi venire alla mente le pubblicità con il maggior numero di centimetri quadrati in bella vista, sorrisi verticali e capezzoli al vento: stanno nelle farmacie. Nelle vetrine delle farmacie, avete presente? Tutte le creme miracolose che cancellano pacchetti di Più Gusto San Carlo nel giro di due settimane. Quella roba lì, che non scalfisce neanche una complessata come la sottoscritta. Anzi, a dirla tutta, quei cartelloni hanno delle esternalità positive: ad esempio, se nel tragitto verso il minimarket ci fosse stata una farmacia, a quest'ora non mi sarei ingurgitata 150g di gustosissime patatine. Avrei cominciato a fantasticare su un regime alimentare più equilibrato e giornate che iniziano alle 7 del mattino con una sana corsetta. Sono le pubblicità con le donne più nude, e secondo il criterio proposto dalla mia stanca madre, sarebbero le prime a sparire. Peccato che in quel caso i corpi sono necessari come immagine, considerato il tipo di bene che vogliono vendere.

Altri suggerimenti per dei criteri facilmente applicabili? Il concetto alla base dello sfruttamento del corpo della donna, erotizzato ed oggettivizzato sia definibile per come appare: "in stile Porter Stewart", direbbe David Foster Wallace. Perché a volte è una scollatura. A volte è una posa. A volte un'espressione. E siamo più o meno tutti capaci di renderci conto di quante volte il copywriter sia seduto sul divano accanto a noi e cominci a darci di gomito (per il copywriter in questione le donne ignorano i media, né comprano beni scelti da sé e per sé) ogni volta che passa il messaggio sessista. Direi che il problema non sta in un culo, ma nel contesto in cui viene posto quel culo.

Davvero, sarebbe bello vivere in un Paese in cui nella pubblicità non ci sia bisogno di mettere messaggi sessuali subliminali come le indicazioni per l'auditorium parco della musica,. Ma intendiamoci, è sempre bene chiedersi dove vuole andare la normativa quando diventa prescrittiva.

giovedì 2 maggio 2013

interMK ULTRA - ho fissato l'uomo che fissa le capre

Ci sono dei film che generano aspettative, nomi grossi nel cast, la locandina è figa, l'argomento è una bomba.

Me ne sono stata per anni con la mia personalissima curiosità verso "L'uomo che fissa le capre". McGregor, Bridges, Spacey. Ah, e c'è anche Clooney, che mi sta un po' sul culo ma se non altro si sa scegliere bene i copioni. Militari, poteri psichici, MK Ultra sono quel genere di tematiche che mi accendono il campanellino del cazzeggio su internet (soprattutto le teorie del complotto su MK Ultra, progetto monarch e tutti quegli invasati che sostengono che Nicky Minaj abbia venduto l'anima al diavolo per avere un culone di plastica - o viceversa, non ricordo).

Ho sempre preso molto sul serio il consiglio che l'agente Dale Cooper diede allo sceriffo Truman:

"Harry, voglio darti un consiglio prezioso. Una volta al giorno, tutti i giorni, fatti un piccolo regalo. Non programmarlo e non andarlo a cercare ma... lascia che arrivi. Può essere una camicia vista in un negozio, un sonnellino nel tuo ufficio oppure... due ottime tazze di caffè nero fumante."

ed oggi il mio piccolo regalo è stato scoprire che grazie alla nuova disposizione della scrivania, la connessione gentilmente offerta dal negozio di elettronica sotto casa va che è una meraviglia (più o meno). Così sono andata a digitare le paroline magiche "film completo" su youtube. Indecisa fra le capre e le tartarughe ninja, ho scelto le capre.

Il film si apre con una sequenza molto bella in cui un grado alto dell'esercito, dopo aver espresso la volontà di andare nell'ufficio accanto, prende la rincorsa contro un muro. Colpevolmente, non avevo mai visto l'attore che lo interpreta: è Stephen Lang e wikipedia dice che è co-direttore artistico dell'Actor's Studio. Quando un attore recita guardando fisso nell'obiettivo e non ti viene da pensare che sta recitando, è bravo.

Dopo i primi secondi, appare il primo gigantesco problema del film: è tratto da un romanzo. Ora, se non riesci a fare un film senza una voce didascalica che ti spiega passo passo cose anche non necessarie, è meglio che lasci perdere la regia . Gli unici due film nel quale funziona il narratore fuori campo sono Fight Club e Il ladro di orchidee. Anzi, Il ladro di orchidee l'aveva reso un espediente geniale facendo notare quanto facesse cagare la voce fuori campo tramite un'impostazione metanarrativa-mise en abyhm che solo Charlie Kaufman poteva rendere accettabile e non una paraculata sofisticata. Ma tant'è. La voce fuori campo di - come cazzo si chiamava? - Bob Wilton (McGregor) ci spiega che va a fare il reporter di guerra dopo il divorzio e l'intervista ad un veterano (apparentemente) rincoglionito che gli spoilera l'esistenza di un'unità militare adibita ad esperimenti psichici e gli fa il nome di Lyn Cassady (Clooney). Lyn decide di condurre con sé Bob dopo che vede il disegno di una piramide con l'occhio fra gli appunti del giornalista e il film parte. Parte ma non decolla, con buona pace dell'ottimo Bridges in versione naja-drugo che fa nascere l'Esercito Nuova Terra in una sequela infinita di flashback (sempre con la voce di Bob a fare da stampella).

Vorrei finire qui la recensione, perché non ci sarebbe altro da dire a parte svelare la trama. E la trama è un viaggio nel deserto con situazioni che sembrano degli espedienti buttati qua e là per non fare sempre flashback, ma non vi ho ancora parlato di Kevin Spacey. Interpreta il cattivo che vuole usare il lato oscuro dei poteri paranormali del gruppo e fa esperimenti Mk Ultra (finalmente). E adesso non c'è veramente più un cazzo da dire sul film. Fin.