martedì 26 giugno 2012

Le Twittine, ovvero come ti scrivo un tweet usando le tette anziché la testa


Questa me la raccontò mia madre qualche tempo fa.
A quanto pare, negli anni ‘70 Cagliari ospitò lo spettacolo itinerante di un’ex attrice e soubrette decaduta. Uno spettacolo erotico un po’ triste in un capoluogo provinciale.
Un signore di mezz’età, sposato, attendeva pazientemente in fila il suo turno per entrare. Ma non c’erano solo uomini all’entrata del locale: un gruppo di giovanissime femministe manifestava contro lo squallore dello show. Una di loro si allontanò dal gruppo per avvicinarsi al signore in coda.
“Professore, sua moglie non è in grado di fargliela, una sega?”

Il concetto casareccio di femminismo della compagna di scuola di mia madre fa sorridere: la soluzione alla mercificazione – consapevole – di un corpo era un cambiamento del luogo in cui avveniva la mercificazione. Nell’ottica della picchettatrice la donna continuava ad avere un ruolo di soddisfacimento maschile, e doveva farlo all’interno delle pareti domestiche. Una donna subordinata al suo ruolo millenario di strumento in cambio della “liberazione” di un’altra donna che aveva scelto, se non altro, la modalità con cui voleva essere sfruttata.

Quando penso a questo aneddoto, mi sento divisa: se siamo arrivate al “ground zero del femminismo” è stato perché abbiamo bollato certe azioni come passé e reazionarie o perché molte donne hanno introiettato solo alcuni aspetti palesi del movimento femminista senza comprendere le critiche che venivano mosse alla famiglia e alla società?

Ora, prima che mi perda, è meglio che spieghi perché ho deciso di scrivere questo post. Il motivo non è legato alle battaglie di questi giorni relative alla legge 194/1978 o al processo Ruby, in corso in questi giorni, ben più meritevoli di approfondimenti. Il motivo risiede in un account twitter appena scoperto: @LeTwittine. Quindi forse sì, avrei potuto fare a meno di tirar fuori concetti storico-culturali. Al netto delle considerazioni che sto facendo adesso il mio pensiero sarebbe “Rincoglionite” e l’avrei twittato, anziché scriverlo qui.

Detto questo, chi sono e cosa fanno Le Twittine? Nella bio si presenta(no) così: “Siamo le Veline di Twitter! Seguiamo e Retwittiamo solo chi è bello!”. Non so a cosa sia dovuto il tripudio di maiuscole. Comunque la mission dell’account è seguire le persone belle (come Vittorio Sgarbi), chiedere ai propri followers (461, li mortacci) dove comprare nani da giardino per una festa e citare frasi di gente famosa random sulla bellezza. Aspetto con ansia la sodomizzazione del cadavere di Keats.
I brutti devono estinguersi, e per dare un’idea sui criteri olimpici per essere considerati belli (con conseguente following) Le Twittine postano di quand’in quando foto di trans e truzzi. No, non come elementi da scartare.

Abbiamo sbagliato tutto. Le lotte, lo studio, il diritto al voto: chissene. La donna deve essere bella, ossia farsi notare attraverso un’identificazione con i propri caratteri sessuali secondari. Le Twittine vi vogliono ipertrofiche e con la finta Birkin abbinata alle scarpe. O se siete uomini, depilati e con la Blue Steel stampata sulla faccia. È questo quello che conta.

“Per coloro chemi han chiesto se sono laureata rispondo di no. La bellezza miha aperto porte senza che io avessi bisogno di studiare” (sic)

E tu cos’hai aperto in cambio, mi verrebbe da rispondere. Ma evito.
La liberazione della donna da certi stereotipi comincia anche da me. Magari le cose andranno meglio, fra quarant’anni.