sabato 5 marzo 2011

#7 - Hometown [2007, prima di trasferirmi]

La mia città si presenta come un ecosistema umido. I suoi abitanti possiedono la straordinaria proprietà di uniformarsi in pensieri, parole, guardaroba e omissioni, gli uni con gli altri. L'incapacità di questo posto di offrire sbocchi lavorativi o culturali, con una percentuale annua di aborti forzati di speranze ed entusiasmi di cui non voglio nemmeno sapere la stima, ricorda a taluni la Dublino di Joyce, a talaltri la Springfield groeningiana: solo coloro che riescono a scappare hanno, grazie alla loro fuga, una via di salvezza. E non è facilissimo risolversi all'emigrazione verso oasi rigogliose (o si tratta solo di un miraggio causato dalla calura e dalla lontananza della meta agognata?) perchè questo luogo non è privo di un fascino vischioso che transmuta il suol natio nell'isola-che-non-c'è di cui si era alla ricerca, per un crudele scherzo del destino. Non è caotica, non è pacata; il cielo è affascinante sia quand'è terso che durante gli acquazzoni relativamente rari. Si finisce col conoscersi tutti, da queste parti, eppure pochi disdegnano dal trarre vanto della propria rete relazionale.
Cagliari è la mia città, ed è un tabernacolo vuoto.
Non la si può amare come un turista può fare con un luogo esotico che sta visitando; le si può voler bene poichè è un'amica d'infanzia, e ogni via, ogni tratto del suo carattere è un momento dell'esistenza, alla ricerca di uno stimolo -atto ad accrescere e sviluppare una personalità unica- che non è mai stato trovato.
E allora si fugge, alla ricerca di un Santo Graal miracolosamente in grado di dare forma e colore alla propria vita. Eppure la lontananza dal nido procura quel senso di vuoto che, stando allo Zingarelli e al De Mauro, si chiama nostalgia.

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